Articolo Galeotto

Eccovi il testo integrale dell’articolo del Diario della settimana del 5 Luglio 2002.

Da quattro anni esiste una sorta di diario web che ognuno può aggiornare e far leggere agli altri, eppure nel Belpaese sono ancora in pochi a usarlo .

BLOG ITALIA
di Ginevra Pezzotti
dal Diario della Settimana del 5/07/2002

Sul web c’è un modo di comunicare che conoscono ancora in pochi in Italia. Più o meno duecento, tra uomini e donne, sparsi su tutto il territorio, con una certa concentrazione a Modena e dintorni. Più volte al giorno, ogni giorno, ogni settimana per i meno assidui, accendono il computer e si collegano al loro blog. Il blog, abbreviazione di weblog, da web e log (traccia): un sito web che tiene tracce. Mantiene memoria digitale di chi lo scrive aggiornandolo giorno dopo giorno, e pubblicando in alto alla pagina ciò che è più recente. Ma funziona anche come crocevia di incontri, nodo di raccordo e di scarto tra persone che usano la Rete per comunicare, scambiarsi informazioni e rimandi a altri luoghi del web. È individuale, personale, raccolto, ma anche collettivo, intrinsecamente sociale, aperto.
Ha solo quattro anni, ma in Rete quattro anni bastano a fare la storia, e a legittimare un’archeologia. Con relativi archeologi, che indagano il recente passato spulciando negli archivi di tracce elettroniche. La posta in gioco? Definire il blog, attribuirgli un posto tra le categorie del web, assegnargli una fisionomia e una funzione. I tentativi di interpretazione non si contano: on-line appaiono quotidianamete articoli sull’argomento. Il materiale è tanto, la storia così appassionante,che Rebecca Blood da San Francisco, blogger della prima ora con un sito da migliaia di contatti al giorno (Rebecca’s Pocket, www.rebeccablood.net), ha riempito le 176 pagine di We’ve Got Blogs: How Weblogs Are Changing Our Culture (Perseus Publishing): un manuale che tenta di rendere il quadro completo dello stato del blog. Per provare a capire, un buon inizio è la definizione di Marco Mazzei, webmaster e anima del sito Blog.it (www.blog-net.it), un osservatorio permanente che monitora l’evoluzione dei blog: «Un weblog è un sito (web) che tiene traccia e propone tracce (log). Un weblog è un incrocio tra web e newsgroup. Un weblog è un ambiente dove i navigatori possono essere passivi (leggere notizie) o attivi (scrivere notizie), possono interagire con notizie scritte da altri, commentandole e integrandole. Un weblog, ancora, è un’incubatrice per comunità di navigatori con interessi comuni». Un altro buon inizio è tentare una ricostruzione, risalendo agli albori.
Breve storia dei blog. All’inizio, nel 1998, il blog è una scarna paginetta elettronica che i più esperti, programmatori soprattutto, usano per scambiarsi link, rinviandosi reciprocamente a siti di interesse comune. A poco a poco, però, accanto agli indirizzi html cominciano ad apparire i primi commenti personali: sfoghi del momento, resoconti, opinioni, idee. La pagina essenziale delle origini si scalda, e da semplice collettore di indirizzi si trasforma in voce, una voce che racconta.
Nei primi mesi del 1999 sono soltanto 23 i blog di cui si ha notizia, contro gli oltre 3 milioni di oggi. Poi arriva l’estate del 1999 e c’è la svolta: compaiono Pitas e Blogger, i primi programmi gratuiti che permettono a chiunque, anche ai profani, digiuni di html, di creare da soli il proprio blog. Da quel momento, democraticamente, chi non ha la minima idea di come si faccia un sito internet, può in pochi minuti pubblicare una pagina on-line, aggiornarla, collegarla ad altre, riempirla di contenuti, discutere, pontificare, arrabbiarsi, ricordare. Da personale, il blog si fa intimo: è la pagina bianca per le divagazioni e i pensieri, è il diario. O forse, il tradimento del diario come journal intime segreto: chi lo scrive sa che verrà letto. Chi lo scrive vuole comunicare, manifestare la propria esistenza e propensione, trovare qualcuno che ascolti e magari si presti a una discussione.
L’impulso individualistico a parlare di sé contiene nel blog i presupposti del suo stesso superamento: è un gancio per creare contatti, costruire una rete collettiva. Il blog non è soltanto nella Rete, è già una Rete: di pagine elettroniche, di pieghe del web, rese più feconde dal passaggio, già avvenuto, attraverso un filtro umano che aggiunge commenti, note, che offre un più di attenzione, che schiude la ricchezza di uno sguardo, di una critica. È un medium che prevede il diritto di replica, la possibilità di manifestare dissenso e punti di vista plurali. Non passa inosservato: presto molti giornalisti, negli Stati Uniti, ne sperimentano la potenza comunicativa e di auto espressione. Qualcuno prende a considerarlo un antidoto ai media tradizionali, capace di estituire le notizie a un contesto critico. Nascono blog d’autore, che mescolano la vita con il lavoro e reinventano un genere: quello del pamphlet elettronico, dell’editoriale in linea.

BLOG GIORNALISMO.
Di blog c’è anche chi, per abilità e con un po’ di fortuna, riesce perfino a campare. È il caso di Andrew Sullivan, ex direttore della rivista The New Republic: grazie al link ad amazon.com, con  www.andrewsullivan.com riesce a racimolare una somma pari al suo vecchio stipendio servendo on-line il suo daily dish, il piatto del giorno, un articolo in cui affronta il tema caldo del momento. Sullivan scrive impastando fatti, commenti e interpretazioni e rilanciando sempre la palla al lettore. Perché, come dice John Hiler su microcontentnews.com (www.microcontentnews.com/articles/borgjournalismhtm), il giornalista-blogger è consapevole che i suoi lettori-blogger ne sanno più di lui, e utilizza le loro conoscenze per approfondire l’analisi dei fatti. Gli fa eco Dan Gillmor (www.siliconvalley.com/mld/siliconvalley/business/columnists/dan_gillmor/3394772.htm ) che, dalla Silicon Valley, vede così l’incrocio tra giornalismo tradizionale e blog: «Nel blog noi giornalisti riferiamo ciò che abbiamo appreso, i lettori ci comunicano se pensano che la nostra versione dei fatti sia corretta e poi ne discutiamo insieme».
La notizia rimbalza da un nodo all’altro della Rete, proprio come accadeva con Napster e con gli altri siti peer-topeer, dove non esiste un unico centro, ma ogni utente è un punto focale dello scambio. Allora, se Napster è riuscito a mettere in crisi l’industria discografica, i blog sono una minaccia per i giornali tradizionali? Lo scenario pare inverosimile: più che concorrenti dei giornali, i blog paiono destinati a fungere da integrazione e commento agli stessi. Tanti per ora i problemi sul tappeto, primo tra tutti la verifica delle fonti e la potenziale inattendibilità di notizie che passano di mano in mano. Ma sono in corso esperimenti. In Inghilterra il Guardian ha un blog in Rete ( www.guardian.co.uk/weblog ), figlio dell’edizione principale. In Italia sono nati un paio di notiziariblog: uno è quello del settimanale tecnico week.it (http://weekit.mondadori.com) e l’altro, Tel&Co ( www.telconews.it ), è una rassegna stampa su internet, telefonia mobile, cultura digitale.
In pochi e in comunità. Che cosa sono i blog? Minieditoriali? Soap opera basate sulla realtà? Chiacchiere per sfaccendati? Siti di servizio? Strumenti di conoscenza collettivi? Ciascuna di queste definizioni è giusta, perché ne coglie un aspetto e ciascuna è sbagliata, perché ne coglie soltanto un aspetto. Bloggando.com, il motore di ricerca che raccoglie i blog italiani, ne segnala circa 200: una stima verosimile che tiene conto di quelli effettivamente aggiornati, ma non di tutti quelli che hanno aperto un account su bogger.com. Pochissimi, se si pensa che, secondo i dati della Registration Authority italiana ( www.nic.it), i domini .it registrati dal 1994 a oggi sono 673.591.
Pochissimi, ma attivi. In Italia gli editori di blog sono una Rete nella Rete, silenziosa di molte parole, che assume un’identità fluida dalla disaggregazione eterogea. Praticano il genere «diario di bordo» personale, ma anche quello del blog collettivo, che nasce dal basso, dove l’autore è multiplo e sparpagliato. Il senso, e lo scopo, dei blog pubblici, cori a più voci, è lo sviluppo di una massa critica di interventi che permetta di mantenere il sito costantemente aggiornato.
Un risultato già raggiunto da alcuni blog locali: di Comuni, Province, quartieri, associazioni e partiti. A Varese, Milano, Lecco, Gaeta, Modena, Bergamo, Bologna. «L’idea iniziale di crocevia.net, blog locale per Milano», spiega uno degli editori, Andrea Dambrosio, «è farne un contenitore aperto e trasversale per soggetti anche collettivi». Così la parola è lasciata ai milanesi, a quei 70 che si sono registrati e a tutti gli altri che anonimamente inseriscono i «post», commenti e segnalazioni, confrontandosi su temi e iniziative diverse, dalla politica all’ecologia, in città e fuori.
Analogamente, BergamoBlog ( www.bergamoblog.it ) «nasce anche dalla insoddisfazione nel vedere che tutto ciò che riguarda Bergamo passa attraverso canali di informazione ufficiali e selettivi. Nasce dall’idea che esiste invece un’altra Bergamo, anzi, tante altre Bergamo, più vitali, più reali». Ottimi intenti, buoni contatti, ma non sono tutte rose e fiori. Come fa notare Lenz Emilitri, gestore della Rete civica di Varese, con struttura a blog ( www.pangea.va.it ), «tessere una Rete di informazioni dal basso non è molto facile in Italia, perché gli utenti sono abituati a leggere e molto poco a contribuire». «Quando si tratta di contenuti poi», aggiunge Antonio Cavedoni di Blogorroico ( http://cavedoni.com/blogorroico ), «la gente ha sempre paura che gli venga rubato qualcosa. È la logica del copyright, da cui siamo talmente saturati da darla quasi per scontata ». Eppure qualcosa si muove. Altrimenti non si spiegherebbe la nascita di un blog di servizio come Scioperi nei trasporti ( http://scioperi.oinko.net ) che si propone di segnalare ai viaggiatori tutti i disagi cui vanno incontro.

ITALIANI BLOGORROICI.
L’idea è venuta a un giovane ingegnere che non vuole dire il suo nome. Spiega: «Sono un pendolare e mi capita spesso di viaggiare per lavoro, passando il mio tempo con le orecchie alzate quando leggo la parola sciopero sui giornali. Avevo iniziato a fare un file di testo sul mio computer in cui segnavo le date delle agitazioni. Alla fine mi sono stancato e ho pensato che sicuramente qualcuno aveva fatto la stessa cosa in Rete. Ma non l’ho trovata, allora ho deciso di fare un sito per tracciare queste informazioni». Qualcosa si muove. Altrimenti quelli della Rete Lilliput di Modena non affiderebbero a un blog ( www.molilli.org ) i messaggi con cui si coordinano a livello locale. Stesso discorso per i Ds di Modena che per comunicare usano un altro blog ( www.dsmodena.it ).
A Modena c’è anche Cavedoni, uno dei primi. Ha iniziato con Blogorroico nel luglio 2000 e il primo gennaio 2001, con Stefano Attardi, ha inaugurato Verbamanent ( http://verbamanent.org ), «il primo weblog pubblico italiano » che oggi ha 300-400 visitatori al giorno. Viene da Modena pure Leonardo Tondelli, editore di Leonardo ( http://leonardo.blogspot.com ). Modena, patria d’elezione dei blogger? La spiegazione, dicono loro, è banale: pura coincidenza e un po’ di passaparola.
Per Tondelli «Modena è una città ricca, piccola e cinica, e a ben vedere questi tre aggettivi si adattano bene a molti blog: per scriverne uno devi essere relativamente ricco (dotato di pc e ben connesso), piccolo (devi saper mantenere una dimensione locale) e anche cinico, ironico, maldicente ». Modenesi e no, gli editori di blog sono studenti, giornalisti, insegnanti, professionisti della Rete, ma anche muratori come Bruno Catarsi che dalla Toscana aggiorna regolarmente il suo Giornale di cantiere ( http://cantiere_news.blogspot.com ). Molti hanno cominciato per scherzo, e non hanno più smesso. Altri ne hanno fatto un sostituto delle chiacchiere da bar. In fondo di questo si tratta, per Tondelli: «Il problema è che quando cominci a lavorare sul serio al bar non ci vai più, e resti lì, con un sacco di cose da dire, stagnanti.
Finché ti accorgi che non hai più il bar, ma hai internet ». Forse non sono solo chiacchiere. I blog si fanno «per vedere il modo in cui pensano le altre persone, come arrivano alle conclusioni che propongono e come risolvono i problemi di tutti», sintetizza avedoni. Ancora più sinteticamente, i blog si fanno in vista di un unico scopo: il contatto umano. Per materializzarsi fuori da internet, per conoscersi e riconoscersi, i bloggatori si sono dati appuntamento a Padova, per sabato 6 luglio a Webb.it, la tre giorni di incontri sulle nuove frontiere delle tecnologie. Vogliono spiegare che i blog non sono una rivoluzione, non sono un fenomeno. L’unica vera novità è un processo editoriale semplificato, più immediato, che permette di parlare delle cose in tempo reale, che porta a un contatto più stretto con la realtà. Sfruttando fino in fondo le potenzialità della Rete. Una Rete scritta da tutti.

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